Tra mare e Terra

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Tra mare e terra…
tra Fregene e Focene

La zona costiera compresa tra Fregene e Focene rappresenta un autentico scrigno ecologico degno di nota, già compreso all’interno del SIC (Sito d’Importanza Comunitaria) di Macchiagrande (Codice NATURA 2000: IT6003023). In questo piccolo lembo della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano è ancora possibile ammirare sorprendenti esempi di flora e fauna mediterranea autoctona (nativa) tra la grande massa di oggetti sparsi ovunque dalle mareggiate e da chi, probabilmente non rendendosi conto, decide di abbandonare tra le sabbie anche enormi quantità di rifiuti. A minacciare, direttamente o indirettamente, questa piccola fascia costiera vi sono però anche tutta una serie di altre problematiche comuni alla gran parte delle coste italiane, tra le quali: l’erosione costiera (alle cui dinamiche naturali si sommano quelle antropiche), la massiccia presenza umana a scopi ricreativi (con le relative conseguenze: calpestio, disturbo della fauna, ecc.), la stessa pulitura dell’arenile con mezzi meccanizzati, il sempre più diffuso fenomeno (dalle proporzioni difficilmente stimabili) di prelievo di piante ed animali, la presenza di specie alloctone (organismi animali o vegetali originari di regioni diverse da quelle in cui si trovano) invasive.

Per comprendere l’importanza, il fascino e la potenzialità di un luogo del genere basti pensare che l’ambiente costiero rappresenta un caso esemplare di ambiente estremo, in cui domina l’azione di forze fisiche e chimiche tali da risultare pesantemente limitanti per la vita. I venti che con regolarità spirano dal mare, trasportano piccolissime gocce d’acqua (un vero “aerosol”) assieme ad enormi quantità di particelle di sabbia, che smerigliano, incrostano di salsedine e sommergono rapidamente rami e foglie della vegetazione costiera. L’acqua presente nel suolo sabbioso è ricca di cloruro di sodio e quindi di difficilissima assunzione da parte delle radici, perciò, risulta essere un suolo fisiologicamente arido, nonostante la rilevante disponibilità idrica. Inoltre quest’acqua drena via rapidamente in un substrato molto instabile in cui fra sabbie e ghiaie mancano nutrienti minerali. Da questo insieme di fattori risulta chiaro che la formazione di “comunità” vegetali e animali è spesso difficilissima. Un ambiente con tali caratteristiche consente la vita solo a organismi altamente specializzati. C’è da osservare però che l’intensità di questi fattori e delle loro risultanti decresce con l’aumento della distanza dalla battigia, dando progressivamente origine a situazioni più permissive che consentono un aumento di diversità specifica delle comunità floro-faunistiche. Quindi mano a mano che ci si allontana dalla battigia per inoltrarsi verso l’entroterra si scoprono fasce contigue, parallele alla linea di costa, di ambienti sempre più articolati e ricchi di specie sia animali che vegetali.

Nella stabilizzazione delle dune è fondamentale la funzione svolta dalla vegetazione, che si dispone in fasce, non sempre continue, a seconda del grado di adattamento alle condizioni ambientali. La prima di queste fasce, quella cioè più vicina al mare e in cui, quindi, risulta più difficile vivere, è detta cachileto, ed è composta da poche piante annuali come il Ravastrello marittimo (Cakile marittima) e la Nappola italica (Xanthium italicum). La fascia successiva è detta agropireto ed è formata essenzialmente dalla Gramigna delle spiagge (Agropyron junceum), dallo Zigolo delle spiagge (Cyperus kalli) e dal Vilucchio marittimo (Calystegia soldanella). Segue poi l’ammofileto, in cui lo Sparto pungente (Ammophila littoralis) contribuisce notevolmente a fissare la duna grazie alle lunghe e ramificate radici. Superata la sommità della duna, la Tortula (Tortula ruraliformis), unita a diverse altre specie di piante, dà vita all’ultima associazione, detta appunto tortuleto. Verso l’interno compaiono poi i primi arbusti, come il Ginepro (Juniperus oxycedrus) e la Fillirea (Phyllirea angustifolia).

Le dune costiere hanno un “ruolo” specifico e ben riconosciuto scientificamente quali elementi di mitigazione naturale del rischio costiero di erosione/allagamento, oltre al loro valore ecologico ed ideologico. Svolgono un’azione respingente contro le incursioni delle tempeste e di difesa nei confronti dell’erosione costiera costituendo efficaci riserve di sedimento disponibile per il mantenimento della spiaggia. Rappresentano quindi un elemento sostanziale di resilienza (capacità di un sistema di prevenire e ridurre gli effetti di un fenomeno potenzialmente dannoso) del sistema litorale tipico mediterraneo. Il fenomeno dell’erosione costiera domina le coste sabbiose italiane dagli anni ’70, le principali cause sono riconducibili a: realizzazione di sbarramenti artificiali lungo in principali corsi fluviali (dighe e bacini di accumulo); estrazione di inerti (cave di fondovalle, ecc.); cementificazione dei corsi fluviali (canalizzazioni, arginature, opere di difesa idraulica, ecc.). Si tratta di opere e/o azioni che producono una drastica riduzione degli apporti solidi al mare e quindi il progressivo arretramento della linea di costa.

Nel nostro paese si è soliti intervenire con opere di difesa di tipo tradizionale come sbarramenti a gradoni (sistemi di difesa passiva), barriere frangiflutti e pennelli rifornitori (interventi di difesa attiva indiretti) e ripascimenti artificiali, ovvero riporti di sabbia (opere di difesa attiva diretta): cercando di bloccare l’ambiente costiero e la sua naturale tendenza a modificarsi che contrasta con una richiesta di utilizzo a scopo abitativo o ricreazionale sempre più importante in Italia e nel mondo. Purtroppo lungo le nostre coste non esistono solo le opere di difesa dall’erosione ma da decenni strade, ferrovie, case, ecc. sorgono, ormai ad immediato ridosso delle spiagge, costruite, perciò, a spese degli apparati dunali.

Nel caso della spiaggia e del sistema dunale di Macchiagrande, si è di fronte ad un’area meritevole di profonda riqualificazione, per finalità naturalistiche, paesaggistiche e turistiche. Il problema della riqualificazione dunale è già stato affrontato con successo anche in altri paesi come Spagna, Francia e Olanda, oltre che in Australia e Stati Uniti. Le esperienze italiane, europee ed extraeuropee, hanno sovente dato buoni risultati, soprattutto quando si sia operato con un’ottica multidisciplinare, attenta al rispetto di tutte (ove possibile) le componenti in gioco, e quando il lavoro di riqualificazione sia stato finalizzato alla ricerca del massimo rispetto della naturalità originaria degli ecosistemi coinvolti. Spiagge e dune naturali sono il frutto di migliaia di anni di riassestamento e di rimodellamento, in equilibrio con i locali fattori erosivi, deposizionali e vegetazionali: è già la natura ad aver sancito quali sono l’altezza, l’ampiezza e l’orientamento più stabili e ottimali di un sistema dunale e di un litorale, e quali le specie vegetali più adatte a consolidarle là dove necessario.

D’altra parte, nessun intervento antropico potrà ripristinare il ciclo evolutivo naturale di un sistema spiaggia-duna squilibrato da fattori di disturbo persistenti. Questo però non significa che un buon intervento di riqualificazione ambientale non possa rappresentare un’utile scorciatoia per riportare in pochi anni un ambiente litoraneo ad un accettabile grado di naturalità, purché vengano ovviamente rimossi o almeno attenuati i fattori di disturbo che ne avevano procurato la parziale distruzione.

In ogni caso nessun intervento istituzionale per quanto mirato e ben realizzato potrà mai portare ai risultati desiderati senza la diretta collaborazione degli abitanti locali (e non solo…) che spesso con tutta una serie di comportamenti errati possono vanificare l’investimento di, il più delle volte, ingenti quantità di denaro pubblico e di risorse umane.

Risulta quindi di fondamentale importanza la sensibilizzazione e il coinvolgimento sia della popolazione presente sul territorio tutto l’anno, che di quella che anche solo sporadicamente gode, se pur parzialmente, della bellezza di tali ambienti.

 

Simone Ceccobelli


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